Nel singolo articolo che costituisce la Legge 107 del 13 luglio 2015, la cosiddetta “Buona scuola”, le espressioni che sottolineano che l’organico dell’autonomia, la formazione, ogni altro tipo di intervento migliorativo si attuano senza mettere mano al portafoglio sono frequenti.

La formula “nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente” ricorre 21 volte, mentre ancora più frequente è quella usata per sottolineare che la riforma della scuola si fa “comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, frase che ricorre all’interno della legge per ben 41 volte.

Se prendiamo a titolo di esempio il D.Lgs. 59/2017, uno degli otto decreti attuativi della legge di riforma della “Buona scuola” in questo caso riguardante la formazione iniziale e l’accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria, la formula “Dall’attuazione del presente provvedimento non devono derivare ulteriori oneri per la finanza pubblica” viene ribadita sei volte.

Complessivamente, considerando tutti e otto i decreti attuativi che spaziano in numerosi settori cruciali dell’istruzione, dall’istruzione professionale alla certificazione delle competenze, dal sistema di istruzione da 0 a 6 anni fino all’inclusione degli studenti con disabilità, la formula compare 49 volte.

Si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo denominato «Fondo “ La Buona Scuola” per il miglioramento e la valorizzazione dell’istruzione scolastica». Questo fondo inizia con uno stanziamento pari a 83.000 euro per l’anno 2015, arriva a circa 70 milioni di euro per l’anno 2018 e negli anni a seguire, fino all’anno 2023 oscilla tra i 40 e i 50 milioni di stanziamento annuo. 

Detto così sembrerebbe una pioggia di milioni che vanno a potenziare un settore, quello dell’istruzione, cruciale per la crescita civile della nazione. Ci sono in Europa Paesi che spendono per l’istruzione il doppio dei 75 miliardi che spendiamo noi in Italia. E resta il fatto che andando a suddividere la spesa pro-capite l’Italia è tra gli ultimi Stati UE per stanziamenti al settore istruzione. In testa Danimarca e Svezia con circa il 7% del PIL. In coda l’Italia, con appena il 4% del PIL: fanno di peggio di lei solo l’Irlanda e la Romania. Continuiamo a fare riforme scolastiche pensando di poterle fare senza oneri, come fare le nozze con i fichi secchi.